martedì 21 marzo 2017

Recensione In Anteprima: "L'universo nei tuoi occhi" di Jennifer Niven


Sono Libby Strout, l'adolescente più grassa d'America, forse la Ragazza più triste del mondo, sola nella sua stanza con il suo gatto, mentre fuori il resto del mondo continua ad andare avanti.




Jack ha 16 anni, si è esercitato per anni nell’impossibile arte di conoscere tutti senza conoscere davvero nessuno, di farsi amare senza amare a propria volta. Ma le cose prendono una piega inaspettata quando Jack vede per la prima volta Libby. Libby che non è come le altre ragazze. Libby che porta addosso tutto il peso dell’universo: un passato difficile e tanti, troppi chili per farsi accettare dai suoi compagni. Jack prende di mira Libby in un gioco crudele, un gioco che spedisce entrambi in presidenza. Libby però non è il tipo che si lascia umiliare, e il suo incontro con Jack diventa presto uno scontro. Al mondo non esistono due tipi più diversi di loro. Eppure... più Jack e Libby si conoscono, meno si sentono soli. Perché ci sono persone che hanno il potere di cambiare tutto. Anche una vita intera.



RECENSIONE


Devo dire la verità: "Raccontami un giorno perfetto", libro d'esordio di Jennifer Niven, amato da tutti, acclamato da ogni singolo lettore su questo pianeta, non mi piacque. Letto un po' di tempo fa, non mi aveva colpito per nulla. Ricordo perfettamente di aver odiato come era stata sviluppata la storia e come certi temi importanti fossero stati scarnificati, fino a diventare un mezzo ridotto ai minimi termini per giustificare comportamenti discutibili. Ma, siccome sono davvero temeraria, ho tentato "L'universo nei tuoi occhi", l'ultima uscita della Niven, che ho avuto la possibilità di leggere in super anteprima. Sono partita con aspettative medio-basse, e direi che questo fatto mi ha portato fortuna (per una volta).

Lobby  è una ragazza problematica. Problematica perchè vittima da anni di bullismo, problematica perchè obesa, problematica perchè, alle soglie dell'adolescenza, sua madre la lasciò così, all'improvviso. E lei si gettò sull'unica cosa che avrebbe potuto -in qualche modo- colmare il vuoto che sentiva dentro: il cibo.
All'età di 16 anni, dopo un lungo periodo di riabilitazione, può finalmente mettere piede in una scuola superiore, ed è determinata ad entrare nella squadra delle cheerleaders.
È lì che, per colpa di una macabra scommessa, si ritrova aggredita -se così si può dire- da un ragazzo, che le arriva alle spalle e le salta letteralmente addosso. Nonostante la paura iniziale, lei si difende, ed entrambi finiscono in presidenza, condannati a fare lavori socialmente utili nell'istituto.
È da questo momento che parte una conoscenza, inizialmente sottile, tra queste due persone, diverse eppure così simili.
Jack soffre di una disfunzione chiamata prosopagnosia, che gli impedisce da sempre di riconoscere il viso di chiunque, comprese le persone a cui tiene di più al mondo. Non si sa come, ma riesce a tenere nascosto questo suo disturbo a tutti, anche ai genitori, e si è guadagnato una certa reputazione, senza la quale rimarrebbe privo del suo scudo protettivo. Scudo che, da quando Libby entra nella sua vita, inizia ad avere poca importanza.


"Senti, ti ho portata qui perché tu ti meriti di meglio di uno dei tanti fast food del cazzo di Amos. Ti ho portata qui perché quando avevo 6 anni sono caduto dal tetto di casa e mio padre mi ha portato di nascosto una pazzia di Clara in ospedale - ed è uno dei rari ricordi positivi che ho di lui. Ti ho portata qui perché questo è stato il primo posto in cui ho voluto venire appena mi hanno dimesso. Ti ho portata qui perché è uno dei pochi ristoranti nel raggio di ottanta chilometri, se non addirittura dell'intero stato dell'Indiana, che non sia noioso o tipico. Perché tu non sei né noiosa né tipica."

E mi rendo conto che è la sacrosanta verità.

Questo libro è difficile da recensire. Non perché sia difficile in sé  ma perché ha diviso le mie considerazioni, ponendomi davanti a cose che ho amato ed altre che ho odiato.

La disfunzione di Jack, da un punto di vista clinico, è stata descritta in modo perfetto. 
D'altra parte, ho trovato inverosimile il modo in cui lui riesca a nasconderla - un tentativo di dimostrare una parvenza di emancipazione dove non serve - da quando era bambino, senza che i suoi genitori avessero notato, almeno per una volta, la sua difficoltà nel riconoscerli. 
Collegato a questo discorso, viene "affrontato" il tema del bullismo, praticamente inesistente (a parte il primo impatto Jack-Libby), a paragone ad altri romanzi sull'argomento. Un altro tema trattato è quello dell'obesità che, per la prima volta, ho letto senza fronzoli e giri di parole. 
 Il continuo rimuginare di Libby sul suo peso è pesante, diretto, vero. Continua a ripetere che gli altri devono vedere oltre, che lei non è i suoi kg, cercando l'accettazione altrui, ma nello stesso tempo non fa altro che parlare parlare e riparlare della sua obesità. Un chiodo fisso, che la scrittrice pone per accentuare la sua condizione in modo esasperante.
Esasperante perché è così, nei libri e nella vita: il sentirsi un peso prepotente che schiaccia, ma volere che le persone non lo notino, volere che si concentrino su altro, anche se si pensa di non aver molto altro su cui gli altri possano  concentrarsi.
Arrivata a metà libro, ero convinta di star leggendo qualcosa di più che meritevole. Ma è dalla metà in poi che il rapporto tra Libby e Jack si fa più stretto, ed è da quel momento che il romanzo cade nell'inverosimilità
L'evoluzione del loro rapporto non ha senso.
Si passa dal "ti salto addosso perché sei in carne e devo dimostrare ai miei amici che so fare una stronzata come questa" al "ti amo!" con il conseguente tira e molla...
Non c'è complicità, non c'è nessuna scintilla. Sarebbe già difficile immaginarseli come amici, figuriamoci fidanzati (esempio: lui la riconosce grazie alla sua 'stazza'. E per lei è un complimento).
Il minimo comune denominatore qui, in realtà, è solo uno ed è l'errore più terribile che una scrittrice determinata a porre certi temi in un libro potesse fare: non ci si può trovare bene con qualcun altro, se prima non ci si trova bene con se stessi.
Jennifer Niven ha piazzato una storia d'amore dove avrebbe potuto benissimo evitarla: risulta una forzatura, qualcosa di per niente spontaneo, quando, invece, in certe situazioni un amore giovanile è l'aiutarsi l'un l'altro più spontaneo di questo mondo. Libby non aiuta in alcun modo Jack. E Jack non aiuta in alcun modo Libby. Restano due adolescenti per nulla compatibili che, a causa delle problematiche di entrambi, l'autrice ha voluto per forza mettere insieme.
Solo alla fine del romanzo  la Niven ha voluto mettere nero su bianco l'accettazione di Libby, che però risulta anch'essa forzata, una cosa che 'doveva essere fatta', senza cognizione di causa. 
Insomma, Jack, potevi anche stare a casa tua.


Dopo che Rachel se n'è andata, lascio sulla panchina la mia copia - La copia - di "Abbiamo sempre vissuto nel castello", accompagnata da un bigliettino:

A chiunque leggerà questo libro:
Tu non sei un mostro. Sei desiderato. Sei indispensabile. Sei unico e irripetibile. Non aver paura di uscire dal castello. Il mondo è un posto meraviglioso.
  Con affetto,

  una compagna di strada. 


Durante la conclusione del romanzo, ciò che mi ha fatto rivalutare alcuni aspetti della lettura è stato il finale privo di drammi o morti premature (grazie mille, Jennifer)

E' un bel libro, credibile, con molti punti positivi ed altrettanti negativi. Non mi sento di consigliarlo nè di sconsigliarlo: a voi la scelta!

Per me è un 7/10.

E voi, cosa ne pensate? 
Lo leggerete?



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